Nel punto più elevato del crinale,
in mezzo a bassa macchia di ceppaie,
ho incontrato un faggio secolare
che mi ha fatto di colpo sussultare.
Con il tronco tozzo e attorcigliato,
è una sfida continua alla natura
che d'inverno, con impeto smodato,
lo costringe ad una sfida dura.
Di neve e galaverna lo riavvolge
e, quando è troppo il peso da portare,
con furia tumultuosa lo sconvolge,
in ogni modo lo vuole far crollare.
E' una lotta impari e violenta
e al vento, che gli urla di mollare,
il faggio dice, con la voce stenta:
qui sono nato e qui voglio restare.
Se capita un inverno più clemente,
il forte faggio se ne vuol giovare:
con azione decisa e prepotente,
qualche ramo riesce ad allungare.
Così la tenacia sua costante,
lentamente l'altezza è sviluppata
per svettare, d'intorno, dominante
sulla ceppaia che striscia rassegnata.
Nelle stagioni gelide e nevose,
qualche ramo cede ed è stroncato,
per curar le ferite più penose,
il suo sviluppo viene rallentato.
Le sue radici, grosse e tortuose,
fanno corona al tronco, tormentate,
respinte dalle basi più rocciose,
in superficie si sono sviluppate.
Dei faggi non è certo un bel campione:
nel bosco ce ne sono di più belli,
col fusto dritto, maestosi e snelli,
con la chioma tornita a peferzione.
Ma quanta forza celan le sue forme,
contorte, senza verso e disadorne,
provate dalla lotta quotidiana
da cui deriva questa forma strana.
Sei l'espressione della resistenza
che ognuno al destino deve offrire;
di quella forza, cui non si fa senza,
se sotto i colpi non si vuol perire.
Questa poesia è stata scritta dal
presidente CAI sez. Arezzo
Bruno Matteagi
venuto a mancare nel 2008