Camminare per me significa entrare nella natura. Ed è per questo che cammino lentamente, non corro quasi mai. La Natura per me non è un campo da ginnastica. Io vado per vedere, per sentire, con tutti i miei sensi. Così il mio spirito entra negli alberi, nel prato, nei fiori. Le alte montagne sono per me un sentimento». Reinhold Messner

«Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà». Bernardo Di Clairvaux

lunedì 4 gennaio 2010

Il Faggio

Nel punto più elevato del crinale,
in mezzo a bassa macchia di ceppaie,
ho incontrato un faggio secolare
che mi ha fatto di colpo sussultare.

Con il tronco tozzo e attorcigliato,
è una sfida continua alla natura
che d'inverno, con impeto smodato,
lo costringe ad una sfida dura.

Di neve e galaverna lo riavvolge
e, quando è troppo il peso da portare,
con furia tumultuosa lo sconvolge,
in ogni modo lo vuole far crollare.

E' una lotta impari e violenta
e al vento, che gli urla di mollare,
il faggio dice, con la voce stenta:
qui sono nato e qui voglio restare.

Se capita un inverno più clemente,
il forte faggio se ne vuol giovare:
con azione decisa e prepotente,
qualche ramo riesce ad allungare.

Così la tenacia sua costante,
lentamente l'altezza è sviluppata
per svettare, d'intorno, dominante
sulla ceppaia che striscia rassegnata.

Nelle stagioni gelide e nevose,
qualche ramo cede ed è stroncato,
per curar le ferite più penose,
il suo sviluppo viene rallentato.

Le sue radici, grosse e tortuose,
fanno corona al tronco, tormentate,
respinte dalle basi più rocciose,
in superficie si sono sviluppate.

Dei faggi non è certo un bel campione:
nel bosco ce ne sono di più belli,
col fusto dritto, maestosi e snelli,
con la chioma tornita a peferzione.

Ma quanta forza celan le sue forme,
contorte, senza verso e disadorne,
provate dalla lotta quotidiana
da cui deriva questa forma strana.

Sei l'espressione della resistenza
che ognuno al destino deve offrire;
di quella forza, cui non si fa senza,
se sotto i colpi non si vuol perire.

Questa poesia è stata scritta dal
presidente CAI sez. Arezzo
Bruno Matteagi
venuto a mancare nel 2008

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